Nella foto di ieri "Il pastore" di Arturo Martini.
ARTURO MARTINI[1], Il pastore, 1930. Citato in molti testi di
storia dell'Arte italiana, come in Lara Vinca Masini. Scultore autodidatta di
Treviso, lavorò da ragazzo in fabbriche di ceramica, esperienza che gli lasciò
un amore artigianale della materia e della creta. Fu lo scultore più
rappresentativo dello stile "Novecento". Quest'opera con "Uomo
che beve" della Gnam, possono considerarsi i suoi capolavori.
"E' una figura smisuratamente
allungata, come spesso nell'opera dell'artista, deformata dalle tensioni
interne della massa raccolta della figura, assorta come in un ascolto di voci
lontane, modellata in una terracotta dalla superficie ruvida come scorza
d'albero, di un caldo colore di pelle arrossata dal sole" (Palma
Bucarelli).
[1] Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) Autodidatta Accanto
alla assimilazione dei modi del Liberty fu importante in Martini il lavoro
compiuto fin da ragazzo in fabbriche di ceramica, un'esperienza che gli lasciò
un amore artigianale per la materia e la creta studiata nei bozzetti di Canova
nella vicina Possagno. Determinante fu il viaggio a Parigi nel 1912 dove ebbe
contatti con Modigliani e Boccioni. Con opere come Fanciulla piena d'amore del 1913
oggi a Ca' Pesaro, tentò una sinstesi tra linearità simbolica, contenuto
espressivo e autonomia della forma plastica. Passò poi ad un purismo classico
aderendo alla sintesi metafisica delle fome e al mito calssicista, finì con
adeguarsi a Valori Plastici e al Richiamo all'ordine: Fanciulla verso sera,
1919, Ca' Pesaro. Una grande commozione lirica impronta altre sculture come
L'uomo che beve alla Gnam. Intorno al 1940 lo scultore giunse, per vie proprie,
alle soglie dell'astrazione e allo scritto "La scultura lingua morta"
del 1945.
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