Prima tappa a Trastevere per parlare di stornellate romanesche, la sosta l'abbiamo fatta davanti al museo di Roma in Trastevere in piazza Sant'Egidio. La seconda tappa in piazza Capodiferro dove abbiamo ricordato la figura di Artemisia Gentileschi.
Viveva tanto tempo fa a Roma una giovane molto bella di nome Artemisia,
era la figlia di un famoso pittore, Orazio, che era stato amico e seguace del
Caravaggio. In quei tempi il padre era impegnato ad affrescare le sale del
palazzo Borghese.
Artemisia crebbe in via della Croce,
passava intere giornate nello studio del padre, era la sua modella preferita e
posava spesso per lui nelle vesti di angelo. Un giorno quando il padre era
uscito si accorse che aveva lasciato sul cavalletto una natura morta interrotta
giorni prima: una melagrana che lasciava intravedere i semi vermigli, un liuto
appena accennato si appoggiava a un libro aperto. Del quadro c'era solo
l'impronta, quasi in trance Artemisia lo completò, nelle pagine aperte scrisse:
"Sic transit gloria mundi". Quando il lavoro fu finito Artemisia si
chiese cosa avrebbe detto il padre, quel padre burbero, di poche parole, capace
di passare anche un giorno senza parlare. L'avrebbe punita? Non c'era la mamma
a proteggerla, era morta quando lei aveva cinque anni e i fratelli erano troppo
piccoli. Si nascose in un sottoscala, fece buio, il padre non arrivava.
Finalmente sentì aprire e chiudere la porta, poi una esclamazione che non
prometteva nulla di buono: "Accidenti! Artemisia! Artemisia! Sei stata tu!
Dove ti sei cacciata? Vieni fuori!". Si fece coraggio, uscì dal
nascondiglio, andò verso il padre e disse: "Sono qui padre, perdonatemi!
Non volevo!| Non volevo!". Ma il padre la prese tra le braccia, la baciò,
la carezzò e le disse: "Sei un'artista nata! Non dovrai più posare per me,
io ti insegnerò tutti i segreti della pittura, hai fatto una meraviglia, io
stesso non avrei saputo fare meglio".
Da allora Artemisia divenne l'allieva
migliore di Orazio. A quel punto il padre, desideroso di perfezionare la
preparazione artistica della figlia, chiamò Agostino Tassi, detto lo Smargiasso,
per insegnare la prospettiva alla giovane figlia. Artemisia aveva allora
diciassette anni e dell'amore conosceva solo i sogni. Dipingeva le eroine della
Bibbia e immaginava di essere una di queste. A volte immaginava di essere la
regina di Saba che cerca di carpire, con sorrisi e carezze, al re Salomone i
segreti della Divina Saggezza. Altre volte sognava di essere Rachele al pozzo
di Charan, dove incontrò Giacobbe per la prima volta e subito lo baciò e non
smise di amarlo fino alla fine dei suoi giorni. Giacobbe per poterla sposare
fece il servo del suocero per sette anni, ma gli sembrarono sette giorni. Ma la
storia che più le piaceva era quella di Ester, la bella figlia di Sion che andò
sposa al Re dei Re Assuero. Nonostante il divieto Ester entrò nella sala del
trono, quando vide Assuero cadde svenuta. Questi la raccolse da terra, la prese
tra le braccia, le baciò gli occhi e la risvegliò con tenere parole.
Quando Agostino Tassi entrò nello studio
del padre, fece un triplice inchino e subito ella sentì un brivido. Velocemente
imparò la prospettiva. Un giorno Agostino le chiese di dipingere senza un
modello, a lei sembrò impossibile, ma lui gli spiegò che sempre quando si
dipinge si ritraggono le immagini che la propria mente produce. Pensò che era
quello che lei stessa aveva fatto quando aveva completato il melograno.
Una notte Artemisia non riusciva a prendere
sonno così decise di uscire di casa per fare quattro passi per via della Croce.
Vide avvicinarsi verso di lei un uomo ubriaco, mal vestito, con tre donne di
strada. Riconobbe in quell'uomo Agostino. Il giorno dopo Artemisia gli chiese
perchè passava le notti in quel modo. Rispose che non c'è differenza tra le
donne, una donna onesta è solo una donna che alza il prezzo, per una donna si
paga sempre. Allora lui le chiese perchè non si era sposata, le rispose che il
padre non voleva. Lui sostenne che il padre era innamorato di lei. A quel punto
Artemisia si infuriò dicendo che il padre era onesto, e lui "questo è il
suo prezzo".
Ormai Artemisia non dormiva più. Agostino,
sempre gentile aspettava, finchè un giorno si gettò ai suoi piedi e le giurò
eterno amore. Artemisia era giovane e si innamorò di lui, passarono una notte
insieme. Purtroppo presto venne a sapere che il suo amante era sposato con
figli, la sua famiglia era a Livorno. Caccio Agostino e nei suoi sogni cominciò
a immaginarsi come la Maddalena, la donna perduta che si era pentita. Agostino
invece desiderava come un matto la giovane, anzi ora che lei lo aveva cacciato
la desiderava ancora di più. Pagò due sicari che per un migliaio di scudi
promisero di uccidere la moglie.
Un giorno Artemisia stava ritoccando un
quadro in cui si vedeva Susanna al bagno, le teneva compagnia la vicina, sora
Tuzia, quando entrò di corsa Agostino Tassi annunciando alla vicina che il
figlio maggiore aveva avuto un brutto incidente sul lavoro, era in pericolo di vita,
aveva bisogno di lei. Subito sora Tuzia uscì di casa. Così il brutto ceffo ebbe
campo libero, afferrò Artemisia, la spinse in camera da letto, le tappò la
bocca. Artemisia gli graffiò il viso, gli strappò i capelli, lo morse fino a
fargli uscire il sangue, ma non ci fu nulla da fare, con la violenza ebbe
ragione di lei. Appena si fu liberata corse in cucina, prese un coltello di
grandi dimensioni e si avventò sull'uomo, a tanto lui si aprì la camicia e
disse: "Eccomi qua! Colpisci pure! Io ti amo veramente, tu sei solo
mia!". Lo colpì di striscio ma non ebbe il coraggio di infierire.
Artemisia piangeva perchè non riusciva a distinguere la verità dalla menzogna.
Da allora ogni notte Artemisia sognò di
essere Giuditta che taglia la testa di Oloforne per salvare il suo popolo, gli
ebrei. Ancora oggi si può vedere una splendida tela a Firenze, negli Uffizi,
che rappresenta Oloferne sdraiato nel letto colto nel momento in cui Giuditta
gli mozza il capo volto verso gli spettatori. Secondo la tradizione il volto di
Oloferne è quello di Agostino Tassi, l'uomo che aveva fatto violenza a
Artemisia Gentileschi.
La terza tappa in via del Portico di Ottavia, al ghetto, dove abbiamo ricordato la leggenda del papa Ebreo.
La quarta tappa in piazza San Silvestro dove abbiamo ricordato la leggenda del papa Mago: Silvestro II.
La quinta e ultima tappa nella cappellina di via dei Santi Quattro (vicinissima al Colosseo) che ricorda il luogo esatto in cui venne uccisa la papessa Giovanna.
Il monaco Silvestro voleva ad ogni costo
conoscere tutta la sapienza del mondo e dell'aldilà. Per questo giunse a Roma,
città dove si trovano le reliquie più importanti della cristianità. Per raggiungere
il sapere era disposto anche ad un patto con il demonio.
Un giorno passeggiava per Campo Marzio,
assorto nei suoi pensieri, pensava alla sua terra, al freddo settentrione, un
paese circondato da foreste e pianure sconfinate. Si ricordò di un uomo
vecchissimo che viveva come un eremita, era sacerdote di una religione
dimenticata, adorava la luna. A lui aveva confidato il suo grande cruccio,
questi era rimasto a lungo in silenzio, poi gli aveva detto: "L'ombra ti
svelerà il segreto. Cerca l'ombra". Il monaco chiese cosa voleva dire, ma
l'eremita ripetè tre volte la stessa frase.
Quello stesso giorno, mentre passeggiava
per Campo Marzio, il monaco fu molto colpito da una statua che si alzava in una
piccola piazza. Rappresentava un guerriero o un giudice, era difficile dirlo,
aveva il braccio destro proteso in avanti e il dito indice puntato a terra.
Sull'elmo erano due parole latine: "Percuoti qui". Molti avevano
colpito l'elmo, con le mani, con dei sassi, ma niente era successo. Notò che l'ombra
del dito a terra era netta e precisa. Fece un segno in quel punto, lasciò
passare il giorno e quando si fece notte, quando tutti erano andati a dormine e
le strade erano vuote tornò in quella piazzetta. Si era munito di una pala, nel
punto dove aveva fatto il segno, iniziò a scavare.
Ma al primo colpo di pala si aprì una
voragine stretta e profonda, da essa partiva una scala di cui non si vedeva la
fine. Senza alcun timore iniziò a scendere e si trovò in una grande e ricca
sala. Al centro di essa sedevano su due troni un re con la maschera d'oro e una
regina con la maschera d'argento. Il monaco rimase di sasso. Il re si alzò e
disse: "Qui è sepolto il tesoro dell'imperatore Ottaviano. Il sapere che
tu cerchi è tutto racchiuso in questo libro nero. Ma tu non puoi toccarlo. Io
manderò con te un mio servo Nadir che ti leggerà quelle pagine meno oscure che
anche tu, povero umano, puoi capire".
Nadir era vestito da saraceno, aveva un
occhio storto, ma per il resto era una persona gradevole.
Poi si alzò la regina che gli diede un
anello, era intrecciato d'oro, d'argento e di rame con sopra una stella fatta
da due triangoli sovrapposti. Subito il monaco capì che era l'anello di re
Salomone, con esso poteva capire il linguaggio degli animali.
Uscito dalla profondità della
terra la voragine scomparve. Iniziò la vita del monaco con il servo Nadir.
Quando il monaco rivolgeva delle domande a Nadir, questo apriva il libro nero e
leggeva alcuni passi che la maggior parte delle volte rimanevano oscure. Ogni
volta lo stesso copione: domande sensate e risposte insensate, o almeno così
sembrava al monaco.
Un giorno in un giardino dell'Aventino udì
alcuni uccelli parlare tra loro: "Silvestro non può rubare il libro nero
perchè Nadir lo inseguirebbe ovunque", "Conosce il cammino nelle
stelle, nessun essere che cammina per terra o nuota sull'acqua può sfuggirli,
Nadir lo ritrova subito".
Silvestro si logorava al pensiero di non
poter leggere il libro. Una notte prese una decisione estrema, rubò il libro e
fuggì via. Nadir lo inseguì quasi subito, cerca e cerca, non riusciva a
trovarlo, cercò ancora e niente. Il monaco si era aggrappato con le mani sotto
le arcate di ponte Milvio, in modo da non stare nè sulla terra, nè sull'acqua,
pendeva a mezz'aria. Nadir non trovandolo tornò nella reggia sotterranea, dal
suo re.
Silvestro si mise a studiare il libro
giorno e notte, molti aspetti gli erano oscuri, vi erano profezie
incomprensibili, ma c'era scritto come fare per diventare ricchi, come essere
validi consiglieri dei potenti, come vedere il passato e prevedere il futuro,
come diventare Papa.
Così il monaco si fece eleggere Papa,
assunse il nome di Silvestro II. Attraverso il libro nero adesso conosceva le
leggi della fisica, quelle che regolano il movimento degli astri, ma aveva
perso la sua anima.
A volte aveva delle orribili visioni.
Adesso che papa Silvestro, il papa mago, possedeva il sapere, stava peggio di
prima, conosceva tutte le brutture del mondo e queste gli pesavano addosso.
Allora decise di pentirsi, implorò pietà.
Cominciò a pregare come gli aveva insegnato la madre da bambino. Capì che il
bene e il male sono inestricabilmente confusi e che spetta all'anima del
singolo distinguerli e fare una scelta.
Quando sentì giungere la sua ultima ora,
papa Silvestro II, ormai semplice e buono come un bambino ordinò che appena
morto il suo corpo fosse messo su un carro trainato da buoi, là dove il carro
non guidato da umani si sarebbe fermato, lì doveva essere sepolto. Il carrò
uscì da san Pietro e iniziò a fare il percorso che giunge a san Giovanni, lo
stesso della incoronazione del Papa. Quando il carro giunse davanti alla chiesa
di San Giovanni improvvisamente si fermò. Il papa mago fu sepolto in quella
chiesa in segno perenne del perdono divino.
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