Nella foto di ieri il quadro di:
SCIPIONE[1], Il cardinal decano,
1930. Chiude il corridoio.
Insieme a Mafai il caposcuola della scuola
di via Cavour, dove abitava l'artista, una vita caratterizzata da salute
cagionevole e morte precoce. Il suo modo di rifiutare la pittura ufficiale del
tempo, il riferimento all'espressionismo e l'aspetto mistico dei suoi quadri
operarono una rottura nell'arte del tempo. Ad un'arte sana e felice,
ricongiunta ai sicuri valori della tradizione, Scipione e i suoi contrapposero
l'idea di un'arte espressione dell'interiorità e della coscienza pensosa
dell'essere e del destino dell'uomo.
Olio su tavola, sul retro uno studio per lo
stesso quadro. Acquistato alla Quadriennale romana del 1935. Rappresenta il
ritratto del cardinale Vannutelli fatto nello studio di Mazzacurati sulla via
Flaminia. Cardinale "decano" per eccellenza, ormai novantenne,
interessava Scipione, che lo ritrasse anche nella camera mortuaria di via della
Dataria.
Il pittore sembra confrontarsi con il "Ritratto
di Paolo III" di Tiziano e quello di "Innocenzo X" del
Velasquez. Fortemente influenzato da Goya, Zurbaran e El Greco. Ricorrono motivi simbolici e enigmatici
attinti dall'apocalisse di Giovanni. Echi del realismo magico e della Metafisica,
si uniscono al barocco e al Seicento spagnolo. Il decadimento dell'uomo, trova
in Scipione, una grande forza espressiva che si manifesta in una cromia accesa
dai toni caldi, bruni e rossastri, la figura sembra posta in uno spazio
incantato privo di profondità. L'umanità
è in balia delle proprie debolezze.
[1] Scipione Gino Bonichi detto (Macerata 1904 - Arco 1933) A Roma dal
1909 frequentò l'Accademia di Belle Arti dove conobbe Mario Mafai e Marino
Mazzacurati. Le sue prime opere si collocano nel solco del Realismo Magico,
sebbene una accentuazione simbolica lascia prevedere gli sviluppi futuri. Con
Mafai e Raphael fondò la scuola Romana, gli anni 1929-30 furono i più intensi.
Nel 1931, già da tempo malato, dovette sospendere il lavoro. La sua fu un'opera
di rottura, con una figurazione di tipo espressionistico volle rappresentare
l'immagine decadente della città, un grido romantico e disperato. A Scipione
piacciono il tramonto rosso di Roma e il barocco romano indice di decadenza. El
Greco era il suo mito.
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