Foto copertina della giornata. Tutti noi davanti alla casa dello scultore Andersen.
Il museo Andersen è la casa, progettata e
realizzata dall’arch. Hendrik Christian Andersen per se e la sua famiglia tra
il 1922 e il 1925. In essa ha vissuto fino alla morte, alla scomparsa della
sorella adottiva la casa, lo studio e tutte le opere in essa contenuta sono
passate allo Stato che ne ha affidato la gestione alla Gnam. Il museo ha aperto
al pubblico il 19 dicembre 1999.
Nato a Bergen in Norvegia nel
1872 da povera famiglia e naturalizzato americano, essendo emigrato ancora
bambino negli Stati Uniti, a Newport (Rhode Island), il giovane Andersen
intraprese il viaggio di formazione in Europa nel 1894 e, dopo Parigi, si
stabilì definitivamente a Roma dove visse per oltre quarant'anni. Alla sua
morte, il 19 dicembre 1940, lasciò in eredità allo Stato italiano il suo
studio-abitazione di via Mancini e quanto in essa contenuto: opere, arredi,
carte d'archivio, materiale fotografico, libri. Ma solo dopo la morte nel 1978
di Lucia Andersen (adottata nel 1919 dalla madre dell'artista e quindi
usufruttuaria del lascito).
La collezione delle opere (oltre
duecento sculture di grandi, medie e piccole dimensioni in gesso e bronzo;
oltre duecento dipinti; oltre trecento opere grafiche) si segnala per la sua
eccezionalità essendo quasi interamente incentrata attorno all'idea utopica di
una grande "Città mondiale", destinata ad essere la sede
internazionale di un perenne laboratorio di idee nel campo delle arti, delle
scienze, della filosofia, della religione, della cultura fisica. Doveva essere
una sorta di capitale internazionale. Dai disegni presenti nel laboratorio
dell’artista si capisce che tale città doveva essere creata alla foce del
Tevere, più o meno dove oggi si trova l’aeroporto di Fiumicino (doveva sorgere
un porto che aveva al suo ingresso una sorta di Colosso di Rodi). A tale progetto e alla sua diffusione
Andersen aveva dedicato nel 1913 insieme all'architetto francese Ernest Hébrard
un ponderoso volume (Creation of a World Centre of Communication;
consultabile presso il Museo) che, partendo dalle concezioni urbanistiche delle
antiche civiltà, doveva indicare l'approdo alla nuova e moderna
"Città".
Prima tappa della giornata: la casa di Pirandello
(via Bosio, quartiere Nomentano).
L’ultima casa abitata dallo scrittore. Negli anni 1913-18 vi
abitò con la famiglia, dal 1933 al 1936 vi abitò da solo ma con un autista factotum
Francesco Armellini, al piano inferiore abitava il figlio Stefano con la
famiglia. Qui ricevette notizia del premio Nobel. Quando nel 1938 il villino fu
comprato dallo Stato per farne l’ufficio Centrale Metrico, i figli dello
scrittore si dichiararono disposti a donare tutto quanto era contenuto nello
studio allo Stato purchè il tutto passasse al Ministero dell’Educazione
Nazionale perché venisse conservata la memoria dello scrittore. Solo nel 1961
il Ministero della Pubblica Istruzione decise di affidarne la custodia
all’Istituto di Studi Pirandelliani (il ministero dei Beni Culturali sarà
istituito solo nel 1974). L’istituto cura la conservazione della casa, promuove
studi sull’opera di Pirandello, conserva e rende fruibile la biblioteca e
l’archivio della casa, promuove studi sul teatro contemporaneo. Il catalogo
della biblioteca è online.
La casa di Pietro Canonica.
Si trova all’interno della Fortezzuola, che fu data all’artista
dal Comune di Roma per i suoi meriti artistici. L’ingresso è preceduto dal monumento all'umile eroe e all'Alpino
con il mulo di Pietro Canonica, sul monumento è la scritta: "Ca custa
lonca custa viva l'Austa" 1915-1918". Opera in bronzo del 1940 che
riproduce Scudela = scodella il mulo
decorato con croce di guerra, nel 1957 fu aggiunto l'alpino. Il mulo porta
l'affusto del 75. La fortezzuola è sede del
museo Canonica.
La fortezzuola era, prima dei lavori del
Settecento, la "casa del Gallinaro", dove venivano allevati struzzi,
pavoni e anatre per le battute di caccia della famiglia Borghese. Nel 1926 il
Comune la concesse allo scultore Pietro Canonica perchè ne facesse la sua
abitazione e il suo studio. Dopo la sua morte (1959) le opere rimaste nello
studio andarono a costituire il museo aperto al pubblico nel 1961, in esso si
mischiano oggetti personali dello scultore con ritratti di sovrani, capi di
stato e personalità d'Europa e d'America. Fu infatti ritrattista della nobiltà
e di numerose case regnanti europee.
La collezione del museo è costituita
principalmente da: marmi, bronzi, modelli originali, oltre ad un gran numero di
bozzetti, studi e repliche che costituiscono un itinerario completo della
evoluzione di questo artista. Oltre alle sette sale espositive al piano terra,
è possibile visitare l’appartamento privato dell’artista. In questa parte sono
raccolti arredi di pregio, oggetti d’arte, arazzi fiamminghi e perfino una
armatura da samurai risalente al sec. XVI. Molto importante la collezione di
dipinti di proprietà dello scultore soprattutto di pittori piemontesi
dell’Ottocento: Fontanesi, Gamba, Quadrone e Vavalleri.
La casa di Alberto Moravia in lungotevere della Vittoria
(vicino ponte Risorgimento). La vedete nella foto, è la casa dell'attico.
In un appartamento all’ultimo piano lo
scrittore abitò dal 1963 fino al 1990 anno della sua scomparsa. Era nato a Roma
nel 1907. Si tratta di una delle figure più importanti del Novecento europeo,
dalla personalità complessa, sostenuta da una forte passione civile e da grande
curiosità intellettuale. Dal 1991 nella casa ha sede l’Associazione Fondo
Alberto Moravia costituita dalle sorelle e dalle eredi Carmen Llera e Dacia
Maraini allo scopo di creare un centro studi per la ricerca e lo studio della
sua opera. L’archivio, riordinato e catalogato è a disposizione di ricercatori
e studiosi.
Nei diversi ambienti, arredati con
semplicità e modernità, si possono vedere le opere d’arte e gli oggetti della
collezione: dipinti su carta, donati allo scrittore da amici artisti, maschere
e oggetti raccolti durante i suoi viaggi in Oriente e in Africa.
Tra le opere in esposizione: un “Ritratto
di Moravia” di Renato Guttuso, una
“Natura morta astratta” di Corrado Cagli, un “Astratto con reticolato nero” di
Giulio Turcato, una “Finestra con piana di ficus” di Mario Schifano, un
“Profilo di Moravia” di Mario Ceroli.
Tornando verso casa siamo passati dai Fori Imperiali dove era in corso una manifestazione per i bambini con la bici. Queste sono bici senza pedali!!! Va tutto bene quello che può invogliare la vita all'aria aperta e l'uso di un mezzo ecologico come la bici!
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