giovedì 29 marzo 2018

Sei romano de Roma se...

sai come si chiama e dove si trova la statua che vedi sotto.

Nella foto di ieri "Il pastore" di Arturo Martini.

ARTURO MARTINI[1], Il pastore, 1930. Citato in molti testi di storia dell'Arte italiana, come in Lara Vinca Masini. Scultore autodidatta di Treviso, lavorò da ragazzo in fabbriche di ceramica, esperienza che gli lasciò un amore artigianale della materia e della creta. Fu lo scultore più rappresentativo dello stile "Novecento". Quest'opera con "Uomo che beve" della Gnam, possono considerarsi i suoi capolavori.
   "E' una figura smisuratamente allungata, come spesso nell'opera dell'artista, deformata dalle tensioni interne della massa raccolta della figura, assorta come in un ascolto di voci lontane, modellata in una terracotta dalla superficie ruvida come scorza d'albero, di un caldo colore di pelle arrossata dal sole" (Palma Bucarelli).


[1] Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947) Autodidatta Accanto alla assimilazione dei modi del Liberty fu importante in Martini il lavoro compiuto fin da ragazzo in fabbriche di ceramica, un'esperienza che gli lasciò un amore artigianale per la materia e la creta studiata nei bozzetti di Canova nella vicina Possagno. Determinante fu il viaggio a Parigi nel 1912 dove ebbe contatti con Modigliani e Boccioni. Con opere come Fanciulla piena d'amore del 1913 oggi a Ca' Pesaro, tentò una sinstesi tra linearità simbolica, contenuto espressivo e autonomia della forma plastica. Passò poi ad un purismo classico aderendo alla sintesi metafisica delle fome e al mito calssicista, finì con adeguarsi a Valori Plastici e al Richiamo all'ordine: Fanciulla verso sera, 1919, Ca' Pesaro. Una grande commozione lirica impronta altre sculture come L'uomo che beve alla Gnam. Intorno al 1940 lo scultore giunse, per vie proprie, alle soglie dell'astrazione e allo scritto "La scultura lingua morta" del 1945.

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