venerdì 25 ottobre 2013

Un angolo meraviglioso di Roma sconosciuto ai più. Forse presto aperto a tutti!

   Apprendiamo dai giornali del giorno otto di questo mese che è stato confiscato il tesoro del costruttore romano Danilo Sbarra. Tra gli immobili pare che ci sia la villa nel cui terreno rientra la chiesa di Sant'Urbano, un angolo di campagna romana salvato a decenni di speculazione edilizia, oggi parte del parco regionale dell'Appia Antica, uno dei simboli dell'antica strada romana e anche simbolo del bellissimo parco della Caffarella.
   Sempre dai giornali sappiamo che le ricchezze di Sbarra erano costruite sul riciclaggio di soldi della mafia. Dopo otto anni la Cassazione ha deciso di confiscare tutto il patrimonio che assomma a 40 milioni di euro. Non sappiamo come stanno con precisione i fatti sul piano giudiziario, noi speriamo che presto sia aperta al pubblico e fruibile a tutti i cittadini la meravigliosa chiesetta che è aperta solo qualche giorno l'anno grazie all'intervento dei volontari del Comitato Parco della Caffarella. Sarebbe proprio un bel giorno!!!


La chiesa di Sant'Urbano,
foto dell'autore del blog, il loro uso è libero.

    Fu Erode Attico, nel II secolo d.C. a far erigere questo edificio come tempio a Cerere, la dea delle messi corrispondente a Demetra dei greci, in seguito fu intitolata anche a Faustina moglie divinizzata dell'imperatore Antonino Pio. Il tempio faceva parte della villa e della tenuta agricola di Erode Attico che occupava gran parte della Caffarella attuale. Tale tempio faceva parte del Triopio, villa e tenuta agricola del II secolo d.C. costruita da Erode Attico, aveva questo nome in ricordo del re Triopas di Tessaglia che aveva osato tagliare la legna del bosco sacro a Demetra e per questo punito con una fame insaziabile. Il nome era un avvertimento verso possibili ladri. Del tempio pagano si conservano addirittura le tegole del sottotetto. In origine era sollevato su un podio con sette gradini al centro di un grande terrazzamento rettangolare che oggi si individua a fatica. La platea era cinta da portici. In laterizio non è solo il corpo dell'edificio (cioè il muro perimetrale, il timpano e la costruzione interna) ma anche la decorazione della parte alta della facciata (mensole, cornici, dentelli e ovuli), secondo l'uso tipico del II secolo d.C. Il tempio ha quattro colonne sulla facciata, le colonne, i capitelli corinzi e l'architrave sono in marmo pentelico un marmo bianco proveniente dalla Grecia e le cui miniere appartenevano ad Erode Attico. Il muro tra le colonne è dovuto al restauro del 1634 quando nella facciata si era aperta una crepa visibile ancora oggi.
     Superati pochi gradini si entra in un atrio utilizzato fino a pochi anni fa come abitazione del guardiano. Qui vi era la statua di Cerere rubata agli inizi degli anni Ottanta. Si entra in una grande stanza che era la cella del tempio, stranamente grande e luminosa. Qui vi erano le statue delle due dee a cui era dedicata e forse quella di Annia Regilla. Era un luogo sacro riservato al sacerdote. All'interno è conservato un piccolo altare rotondo di marmo rinvenuto nel giardino nel 1616 nel quale si legge una iscrizione in greco dedicata a Dioniso che fece supporre che il tempio fosse a lui dedicato. 
     Nel VI secolo fu convertito in chiesa cristiana e dedicato a Sant'Urbano vescovo il cui corpo era sepolto al quarto miglio della via Appia. Il restauro più importante fu compiuto dal cardinale Francesco Barberini nel 1634. Gli affreschi che ornano i riquadri risalgono all'XI secolo, ma furono rimaneggiati nel Seicento da papa Urbano VIII Barberini. Attraverso una piccola scala si scende alla cripta, le dimensioni ridotte e la sua posizione sotto l'altare provano che essa fu costruita per essere una "Confessione", cioè luogo per conservare le reliquie. Il tetto con la volta a botte era decorato da una serie di stucchi ottagonali e quadrati contemporanei a quelli delle tombe dei Valeri e dei Pancrazi nelle tombe della via Latina. Di tutti gli stucchi ottagonali è rimasto proprio quello centrale  che raffigura due persone in rilievo una delle quali interamente conservata: è una donna nobilmente vestita. Forse l'apoteosi di Annia Regilla. L'affresco della Crocifissione reca la firma frater Bonizzo e la data 1011. Gli affreschi appartengono allo schema tipico del periodo medioevale. Le 34 scene distribuite lungo le pareti rappresentano episodi tratti dal Vangelo, dal martirio di San Lorenzo e di altri santi non ancora ben identificati.



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