giovedì 26 dicembre 2019

Santo Stefano: una forte presenza a Roma


   Oggi è Santo Stefano, a Roma esistono ben quattro chiese dedicate a Santo Stefano: Santo Stefano Protomartire nella borgata di Tor Fiscale, che ricorda una antichissima basilica i cui resti sono oggi nell'area del Parco delle Tombe Latine; Santo Stefano degli Abissini che nessuno conosce, si trova nei giardini Vaticani; Santo Stefano del Cacco, una chiesa dal nome curioso che si trova nella via omonima dove si trova un grande piede di marmo risalente ad una antichissima statua (rione Pigna); ma la più importante di tutte è la chiesa di Santo Stefano Rotondo, che si trova al Celio, non lontano dalla chiesa della Navicella.


     La chiesa di Santo Stefano Rotondo risale al V secolo, è stata gestita fino al 1580 dai Paolini ungheresi, dopo questa data è in cura al Pontificio Collegio Germanico-Ungarico. Oggi è chiesa nazionale di Ungheria. Fa parte della parrocchia di Santa Maria in Domnica alla Navicella.
     La chiesa venne edificata su di una parte della caserma romana dei Castra peregrina, alloggi delle truppe provinciali e in corrispondenza di un mitreo (anno 180) rimesso in luce negli anni 1973-75. Nei pressi era la domus dei Valeri. La chiesa fu voluta da papa Leone I Magno (440-461) sotto il quale venne costruita anche la chiesa di Santo Stefano a via Latina. Tuttavia dalle fonti sappiamo che la chiesa venne consacrata da papa Simplicio (468-483).
     L'edificio aveva una pianta circolare, costituita in origine da tre cerchi concentrici: uno spazio centrale dal diametro di 22 metri delimitato da 22 colonne architravate sulle quali poggia il tamburo (alto 22,16 metri), intorno a questo spazio centrale c'era un anello in muratura che formava un ambulacro di 42 metri di diametro e di un altezza inferiore rispetto al corpo centrale dell'edificio, questo anello era delimitato da colonne collegate da archi oggi inseriti nel muro continuo. Il terzo anello, quello più esterno oggi è scomparso (diametro 66 metri). Da questo anello più esterno partivano quattro ambienti di maggiore altezza che trasformavano la pianta centrale della chiesa in una pianta a croce greca. Lo spazio del secondo anello era probabilmente scoperto come testimonia il disegno fatto nel Trecento.
     Gli interni erano decorati con lastre di marmo, sono state rinvenute tracce di esso nel pavimento (cipollino) e i fori sulle pareti testimoniano la presenza di un rivestimento.
     Il colonnato che circonda lo spazio centrale è formato da 22 colonne di riutilizzo, infatti sono di altezze diverse, mentre i capitelli ionici furono eseguiti nel V secolo. Anche gli architravi hanno altezze leggermente diverse.
     La chiesa presenta analogie con la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, modello dell'architettura rinascimentale per tutto il medioevo.
     Nel VI secolo fu ornata di mosaici. Nel monastero attiguo trovarono rifugio i seguaci di San Benedetto messi in fuga da Subiaco dai Longobardi nel 601. Nel VII secolo papa Tedoro vi portò le reliquie dei santi Primo e Feliciano collocate nel braccio nord orientale, il catino absidale venne decorato da un mosaico a fondo oro eseguito da artista di origine bizantina. Nell'XI secolo la cappella fu ristretta per ospitare la sacrestia, nel 1586 le pareti furono affrescate da Antonio Tempesta[1] con le storie del martirio dei due santi. Nei secoli seguenti la chiesa decadde, perse la copertura originaria, l'anello esterno e tre dei quattro bracci, restaurata da Innocenzo II nel 1139 1143 fu creato il porticato di ingresso coperto a volta a cinque arcate su colonne di reimpiego e capitelli tuscanici. Le 14 finestre aperte sul tamburo vennero murate.
     Di nuovo un periodo di abbandono finché papa Niccolò V affidò il restauro completo allo scultore fiorentino Bernardo Rossellino[2] che rifece coperture e pavimento, rialzandone la quota, collocò al centro un altare marmoreo. Rimase solo il braccio utilizzato come vestibolo in corrispondenza dell'atrio. Alcuni autori ipotizzano anche, in questi lavori, un ruolo di Leon Battista Alberti. Nel 1580 venne costruito un recinto ottagonale intorno all'altare con affreschi di Niccolò Circignani, detto il Pomarancio[3], che raffigurano la storia di Santo Stefano. Tre anni dopo lo stesso pittore affrescò il muro che chiude l'ambulacro con 34 scene di martirio impressionanti per la rappresentazione delle atrocità inflitte ai martiri cristiani. Secondo alcuni autori oltre al Pomarancio vi lavorarono anche il Tempesta e allievi. Il ciclo inizia con la Strage degli Innocenti, la Crocefissione di Gesù, il martirio di Santo Stefano con sullo sfondo i supplizi degli Apostoli. Ogni dipinto ha didascalie in latino e italiano. Alcune scene vennero malamente ridipinte dell'Ottocento.



[1] Antonio Tempesta (Firenze 1555 - Roma 1630) pittore e incisore del primo periodo del barocco. Collaborò alla decorazione di palazzo Vecchio. Trasferitosi a Roma lavorò per papa Gregorio XIII affrescando alcune mappe della Sala delle Carte Geografiche in Vaticano, tra cui quella famosa di Roma 1593. Sue opere a San Giovanni de Fiorentini e a palazzo Farnese di Caprarola. Tornato a Firenze lavorò agli Uffizi alla decorazione dei soffitti. Tornato a Roma si dedicò alle illustrazioni, celeberrime le 150 della Bibbia, detta "del Tempesta". Suoi disegni al Louvre, al museo di Berlino, alla National Gallery di Edimburgo.
[2] Bernardo Rossellino (Bernardo di Matteo Gamberelli o Gambarelli, Settignano 1409 - Firenze 1464) architetto e scultore. E' fratello di Antonio anch'egli artista. Fu lui a codificare il genere della tomba umanistica volta a celebrare il defunto laico per le sue opere terrene (monumento a Leonardo Bruni in Santa Croce a Firenze). Il suo più importante contributo architettonico è nella piazza di Pienza, fu il continuatore di Leon Battista Alberti.
[3] Pomarancio (Pomarance PI 1530-1597 circa), padre di Antonio, suoi gli affreschi del Belvedere in Vaticano tra i primi lavori. Lo troviamo a Orvieto nella Cattedrale, Umbertide, Città di Castello e Città della Pieve. Lavorò tra il 1582 e il 1583 nella chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio per realizzare le 24 scene del martirio del santo titolare in toni di giallo da imitare rilievi scultorei.  E' documentata la sua presenza all'abbazia di Valvisciolo presso Sermoneta.

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