Alla fine dell’Ottocento il barone Michele
Lazzaroni acquistò l’area della Vigna Peromini per farne una villa suburbana
della sua famiglia. Si tratta di una famiglia proveniente da Torino, finanzieri
legati alle vicende della Banca Romana, che arrivarono rapidamente a grandi
ricchezze sfruttando il bisogno di case e di edifici pubblici in una Roma che
da poco aveva assunto le funzioni di capitale d’Italia.
La famiglia, per ostentare il livello
sociale raggiunto, riuscì ad ottenere il titolo di baroni dal re Umberto I
nell’aprile 1879. Possedevano il palazzo Grimaldi a largo de Lucchesi (Fontana
di Trevi) e alcune tenute nella Campagna Romana, come quelle di Tor di Quinto
(Ponte Milvio) e Leprignana. In questo contesto la vigna di Pontelungo doveva
diventare una villa di delizie. La zona a Nord divenne un giardino con piante
di ogni tipo e finti reperti archeologici, la zona a Sud e Ovest era divisa in
vari settori ma comunque utilizzata a scopo agricolo.
La facciata dell'edificio/villa è disegnata in stile
neoclassico con portico aggettante in tre aperture, sovrastato da un terrazzo
cinto da balaustre. Gli spigoli del prospetto sono risaltati da finte bugnature
angolari. Il corpo occidentale fu realizzato per dotare l’edificio di un grande
salone da ballo e ricevimento, ed è caratterizzato da grandi finestroni ad
arco. Una grotta decorata in stile rustico completava la decorazione. Nel parco
si possono ancora riconoscere le fontane rustiche a scogliera di tufo,
sistemate nei punti cruciali del sistema viario e l’area antistante il
prospetto nobile e il salone dei ricevimenti. Verso via Fortifiocca vi era un’area
a uliveto, oltre di questa si estendeva un’area coltivata a frumento che
arrivava a via Latina e forse oltre. Un’entrata doveva esserci da questa via
perché un doppio filare di cipressi giunge da quel lato fino alla piazzetta
dell’attuale municipio. Alcuni cipressi sono sopravvissuti anche nel giardino
della scuola Media al di là di via Fortifiocca. Tutti questi interventi di
sistemazione della villa furono portati a compimento entro il 1893, anno in cui
lo scandalo della Banca Romana travolse la famiglia visto che il barone Michele
era l’amministratore.
Le vicende successive hanno alterato
proporzioni e aspetto della villa. Nel 1908 la villa venne utilizzata come
ricovero per gli orfani del terremoto di Messina da parte dell’orfanotrofio Pio
Benedettino. Dopo l’ultima guerra fu acquistata dalle Suore Francescane
Missionarie di Maria. Negli anni 1960-61 fu costruito un orfanotrofio poi
diventato asilo e scuola, contemporaneamente una chiesa, alterando la pianta
dell’edificio. Negli anni immediatamente successivi i due ettari di parco verso
Nord sono ceduti al Comune mediante permuta e viene realizzato un muro
divisorio. Il decadimento del giardino è immediato vista l’alta densità
abitativa del quartiere.
Negli anni Settanta l’apertura di via
Raffaele De Cesare determina l’arretramento del muro di cinta del parco e
l’abbattimento del portale d’ingresso. Finalmente nel 1979[1],
anche la parte ancora privata, viene acquisita dal Comune e viene aperta al
pubblico nella sua totalità. La villa raggiunge un’estensione di 54.000 mq. Il
palazzo principale viene adibito a sede del IX Municipio (dal 2013 è stato unito
al X e prende il nome di VII Municipio con sede del consiglio municipale e
del presidente in piazza di Cinecittà, qui restano gli uffici), le stalle e il
fienile saranno sede dei Vigili Urbani, oggi sede dei gruppi consiliari.
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